Nasce a Campagnola Emilia in provincia di Reggio Emilia nel 1903. Bracciante, dal 1919 è iscritto alla Federazione Giovanile Socialista e nel 1921 è tra i fondatori della Federazione Comunista Modenese.
La sua attività di propaganda antifascista inizia molto presto: nel 1923 e nel 1925 è arrestato e processato. Nuovamente fermato nel 1927 per organizzazione comunista, è condannato dal Tribunale Speciale a 10 anni di reclusione. Ne sconterà sei.
Nel 1932 si trasferisce a Carpi. Qui riprende l’attività cospirativa che gli costerà il confino presso l’isola di Ponza. Resta strettamente vigilato anche dal suo rientro a Carpi, nel 1939.
Dopo l’8 settembre 1943 partecipa alla lotta di liberazione come Responsabile militare della provincia di Modena, è poi nel Triumvirato insurrezionale dell’Emilia Romagna a Bologna, infine nel Triumvirato del nord Emilia a Reggio.
Alla Liberazione è eletto sindaco di Modena, incarico che conserva fino al 1962, periodo nel quale si dedica attivamente al processo di ricostruzione della città.
Il 2 giugno 1946 è eletto Deputato all’Assemblea costituente, carica alla quale rinuncia per non trascurare il suo impegno amministrativo nella politica locale.
Muore a Modena nel 1965.
Alfeo Corassori nasce il 3 novembre 1903 a Campagnola Emilia, un piccolo comune della bassa reggiana, da Antonio e Rosa Tirabassi, in una famiglia di braccianti agricoli.
Nel 1919, appena sedicenne, si iscrive alla Federazione giovanile socialista; già nel 1921 aderisce al neonato Partito Comunista d’Italia (PCd’I) e frequenta regolarmente la Sezione di Mancasale, in una frazione di Reggio Emilia. In seguito si trasferisce a Carpi dove partecipa – insieme a Guido Giberti, Beatrice Ligabue, i fratelli Carlo e Bruno Baroni, Elio Carrarini e Olinto Cremaschi – alla fondazione della Federazione modenese, con l’incarico di responsabile della sezione sportiva, ovvero del reperimento di armi per gli antifascisti della provincia.
Questo piccolo nucleo iniziale è destinato ad allargarsi e ad acquisire sempre maggiore importanza nel panorama politico provinciale e nazionale. Sono, infatti, numerosi i giovani antifascisti appartenenti a famiglie di orientamento socialista che nel Modenese – così come in altre province emiliane – intravedono nel comunismo la naturale prosecuzione delle tradizioni politiche familiari; ma anche per reagire alla crisi occupazionale ed economica che si abbatte sulle campagne della pianura padana all’inizio degli anni Trenta (Losi et. al, 2012: 116).
La sua attività di propaganda antifascista inizia molto presto: durante il servizio militare «svolge propaganda sovversiva tra i soldati» (Losi ed al., 2012: 116) e nel 1923 viene arrestato insieme ad Amadeo Bordiga e altri dirigenti del partito con l’accusa di associazione comunista, sedizione e mancata dichiarazione di possesso di armi da fuoco. Arrestato per il possesso di una rivoltella non registrata, il 26 ottobre è condannato a 4 mesi (di cui tre condonati) e rinviato a giudizio insieme a Bice Ligabue e Guido Giberti. Alla sua scarcerazione continua l’attività antifascista per il partito comunista nel Modenese, nel Reggiano e nel Mantovano, zona in cui si è trasferito per il suo lavoro di bracciante. Sul finire del 1925, durante i lavori del Congresso provinciale comunista, si apre un dibattito interno al partito tra correnti gramsciane e bordighiane. Sebbene a Modena si tratti di tensioni risolte in nome della disciplina di partito, Corassori sostiene senza riserve la linea bordighiana.
Nello stesso anno, nell’ambito di un’intensa propaganda “sovversiva” e a fronte di un lavoro politico costante e indefesso, è denunciato – in un periodo in cui sta lavorando presso uno stabilimento vinicolo di Modena – per le sue idee antifasciste e rinviato all’autorità giudiziaria «per istigazione a delinquere e eccitamento all’odio di classe e alla resistenza contro i poteri dello stato», poi amnistiato dalla Corte d’appello di Roma (Losi et al, 2012: 116).
Pur proseguendo un’intensa opera di organizzazione clandestina nel carpigiano, per sua maggior sicurezza è costretto a trasferirsi a Milano dove cambia nome e vive nella semi-clandestinità. E proprio nel capoluogo lombardo è arrestato nell’aprile del 1927 con l’accusa di organizzazione comunista. Il Tribunale speciale gli commina dieci anni di reclusione per i reati di apologia, cospirazione, offesa al Capo del Governo e oltraggio ai danni di agenti della Forza Pubblica. Ne sconta sei – di cui tre di vigilanza speciale – nelle carceri di Volterra, Pallanza e Lucca. Nel 1932 gli viene concessa l’amnistia, in occasione del decennale del regime fascista.
Uscito da carcere torna a Carpi dove sposa Rina Nizzoli e riprende l’attività cospirativa.
Nella notte del 4 ottobre 1933, nell’ambito di una vasta operazione di polizia condotta nel Modenese, è arrestato insieme ad altri sessantasette comunisti e, l’anno successivo, assegnato al confino presso l’Isola di Ponza, poichè giudicato «elemento pericoloso per l’ordine nazionale». Durante gli anni del confino ha la possibilità di conoscere numerosi membri del movimento antifascista italiano, tra cui anche Giorgio Amendola, con il quale organizza un corso di storia italiana dal Risorgimento all’avvento del Fascismo (Gatti, 1968, 11). Riacquistata la libertà, rientra a Carpi nel 1939 e poche settimane dopo riceve la chiamata alle armi; è poi congedato l’anno successivo con licenza illimitata poiché ha due fratelli già in guerra.
Durante la Seconda Guerra Mondiale prosegue la sua attività politica; resta sottoposto a vigilanza fino al 1943, e arrestato nel corso dei 45 giorni del Governo Badoglio.
Dopo l’8 settembre partecipa alla lotta di Liberazione come responsabile militare della provincia di Modena e come dirigente della Federazione provinciale del Partito comunista. Arrestato a Bologna dalle Schutzstaffel in seguito a una delazione nell’aprile 1944, viene rimesso in libertà dopo 8 giorni. Diventa, quindi, membro della Segreteria Federale del Partito Comunista Italiano (PCI) di Bologna, poi entra nel Triumvirato insurrezionale dell’Emilia Romagna e, infine, nel Triumvirato del nord Emilia a Reggio.
Il 22 aprile 1945, con la Liberazione della città, il Comitato di Liberazione Nazionale della provincia di Modena affida a Corassori l’incarico di Sindaco, poi confermato alle elezioni amministrative del 1946 e, per altri tre mandati, fino al 1962.
Eletto il 2 giugno 1946 all’Assemblea Cosituente nel XIV Collegio per il PCI, il 28 giugno riceve la nomina di Deputato. L’elezione è convalidata il 25 luglio ma Corassori rinuncia per continuare a tempo pieno il suo impegno nell’amministrazione modenese. Si dimette, così, l’11 settembre dello stesso anno e partecipa, in qualità di primo cittadino, alla cerimonia di conferimento della Medaglia d’oro al Valor militare. Cerimonia che si tiene l’8 dicembre 1947 alla presenza del Presidente della Repubblica Enrico De Nicola.
Nei diciassette anni in cui è a capo dell’amministrazione cittadina, Modena vive profondi cambiamenti dal punto di vista economico, sociale e urbano. La prima fase postbellica vede centrale il piano per la ricostruzione, che si concentra su due emergenze: la carenza del lavoro e quella degli alloggi. Nel primo messaggio di Corassori alla cittadinanza si legge:
Solo se tutti saranno consci dei propri diritti e dei propri doveri si potrà fare in modo di soddisfare i bisogni impellenti della cittadinanza. Tutti i servizi devono essere riattivati nel più breve tempo possibile; si deve procedere rapidamente alla rimozione delle macerie e alla sistemazione delle famiglie sinistrate (Bedogni, 1988: 102).
Molte abitazioni erano state distrutte o gravemente danneggiate dai bombardamenti che Modena aveva subito durante il secondo conflitto mondiale. È una situazione di emergenza per gli alloggi e la disoccupazione, cui si aggiunge il problema dell’afflusso di profughi, del ritorno dei prigionieri dalla Germania e degli smobilitati, dell’occupazione di molti locali da parte dell’Esercito alleato che transita o si stabilisce a Modena. Nonostante il silenzio della cittadinanza alla richiesta di solidarietà da parte dell’Amministrazione, nel giugno 1945 il Comune è già riuscito a sistemare più di 400 famiglie, affrontando una situazione finanziaria che proprio Corassori definisce disastrosa e fallimentare (Bedogni, 1988; 103).
Nel 1950 è testimone dei gravissimi fatti delle Fonderie Riunite di Modena: il 9 gennaio, durante un imponente sciopero indetto dalla Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL) per protestare contro i licenziamenti di oltre 500 operai metalmeccanici, gli agenti della Polizia di Stato – chiamati in forze da Piacenza, Bologna, Ferrara e Cesena – sparano contro i manifestanti per impedire l’occupazione della fabbrica. Restano uccisi sei operai e ferite circa duecento persone. Nel discorso all'assemblea dei gruppi parlamentari di sinistra e dei sindaci che si è riunisce dopo il tragico avvenimento, Corassori denuncia la grave situazione creatasi nel Modenese a causa dei numerosi licenziamenti per motivi politici attuati dalle maggiori industrie provinciali e puntualizza:
[…] mentre siamo coscienti che la vita economica del nostro paese è difficile e che ci sono dei problemi complessi, abbiamo anche analizzato e veduto dove c’era un problema economico e dove c’era un problema politico; e molti dei fatti e delle serrate hanno proprio questa seconda natura e non un’altra: ed è stata questa caratteristica che ha fatto sì che attorno all’ultima vertenza delle Fonderie Riunite si sia creata la solidarietà e l’appoggio dei più larghi strati della popolazione modenese in appoggio ai lavoratori che l’industria Orsi voleva lasciare fuori dallo stabilimento (Gatti, 1968: 40-41).
Denuncia, inoltre, che l’amministrazione comunale non era mai stata ascoltata, nonostante avesse da tempo «fatto sentire la propria voce presso tutte le autorità locali, prefettura e questura, e, di frequente, si [sia] rivolta agli organi di governo». L’impegno di fronte alla grave situazione che attanaglia le fonderie continua anche negli anni successivi: Corassori produce anche un breve documento dal titolo Anni di lotta alle Fonderie Riunite; opera in cui manifesta la propria, preoccupazione, l’aperta condanna alla proprietà e la necessità, da parte dell’Amministrazione comunale, di occuparsi della salvaguardia dei lavoratori.
In quegli anni, in effetti, le grandi fonderie e le imprese metalmeccaniche, gonfiate dalle esigenze della produzione bellica, si erano trovate improvvisamente fuori mercato, prive di una conduzione capace di innovare e/o riconvertire. Una grave situazione cui i padroni avevano risposto con licenziamenti, contrazione dei salari e chiusure, contribuendo a portare la disoccupazione a livelli altissimi. La risposta di Corassori segue due strade: se da una parte è vero che gli sforzi di mediazione tra gli imprenditori del territorio e il sindacato non portano a risultati positivi, dall’altra risulta proficua la scelta di dare uno sbocco differente alla laboriosità e allo spirito d’iniziativa dei lavoratori mettendo a disposizione il bene più difficile e più essenziale: lo spazio e l’occasione per costruire un’impresa.
Tra le principali intuizioni delle Giunte da lui guidate si può menzionare la costruzione di aree artigianali e industriali (zone di pertinenza comunale, attrezzate e messe a disposizione di artigiani e imprenditori licenziati dalle fabbriche modenesi o agricoltori che avevano abbandonato la vita nei campi). Dal 1953, all’estrema periferia ovest della città, nel quartiere Madonnina, viene lottizzata e urbanizzata un’area di quindici ettari destinata a diventare il Villaggio artigiano e a ospitare le abitazioni e le attività di piccoli artigiani-imprenditori. In sei anni in quel terreno incolto tra la ferrovia e la via Emilia iniziano a produrre settantaquattro nuove aziende.
Fra il 1954 e il 1961 Corassori contribuisce alla riorganizzazione del sistema di trasporto urbano (da tramviario a filoviario) oltre che alla costruzione del Mercato bestiame e del Policlinico. Partecipa alla teorizzazione delle prime politiche scolastiche su scala locale, riflessioni fondamentali anche negli anni successivi ai suoi incarichi. La sua lungimiranza e il suo zelo non sono semplicemente il prodotto di un impegno personale, ma rappresentano l’uniformarsi a una precisa strategia politica. Dopo le elezioni del 18 aprile 1948 i partiti di sinistra sono consapevoli del loro ruolo di opposizione a livello nazionale, ma sanno di potere dimostrare la propria capacità di governo nei Comuni dove hanno vinto le amministrative. In particolare i Comuni di una certa estensione, tra cui appunto Modena, sono le vetrine per mostrare che gli amministratori comunisti e socialisti sono in grado di realizzare pratiche di buon governo. L’obiettivo della giunta Corassori, in particolare, è quello di rispondere alle esigenze dei cittadini per ottenere una maggiore autonomia dalla Giunta provinciale amministrativa, che ancora esercita pressione e controllo sui Comuni della provincia (Taurasi, 2015). Ciononostante, il bisogno di dare risposte immediate ai problemi urgenti e gravi della città va talvolta a discapito del rapporto con la popolazione e del suo coinvolgimento nel processo decisionale, principio cardine della democrazia progressiva promosso dal PCI dopo la Seconda Guerra Mondiale e portato avanti con fatica dagli amministratori della ricostruzione. All’interno della Federazione comunista modenese, il lavoro di Corassori in questa direzione è pressante: ribadisce l’esigenza di costituire in tutte le sezioni una Consulta popolare per costruire un rapporto costante con i cittadini e si oppone con forza a qualunque tentativo di rendere marginale e riduttiva l’attività dei Comuni.
Nel parere espresso dalla Cartella Commissione Quadri alla fine degli anni Quaranta, il sindaco di Modena viene giudicato il miglior “compagno” della provincia, i risultati del suo lavoro sono definiti buoni e viene elogiato per la sua disciplina, il suo attaccamento al partito e al lavoro, per lo spirito di abnegazione e di sacrificio e per la grande influenza che esercita su tutto il partito (Bedogni, 1988: 108-109). È probabilmente per timore degli effetti che questa immagine così popolare può produrre sulla gente comune che il Ministro degli Interni ordina alle forze dell’ordine della provincia di controllare attentamente i movimenti e le dichiarazioni di Corassori, ritenuto, ancora negli anni Cinquanta, «pericoloso per l’ordine pubblico» (Losi et al, 2012: 118).
Oltre alla carica di Sindaco, compare negli organi del PCI: eletto membro del Comitato Centrale al VI Congresso nazionale, ricopre gli incarichi di Presidente della Commissione federale di Controllo ed è componente del Comitato direttivo della Federazione di Modena. È, inoltre, Presidente dell’Alleanza cooperativa modenese, carica che occupa fino alla morte, sopraggiunta il 27 novembre 1965 (Bedogni, 1988: 116).
Al suo funerale partecipano in massa i modenesi, come segno di affezione e riconoscimento. Le celebrazioni sono molto sentite dai suoi concittadini, con cui aveva un legame profondo e reciproco diretto e trasparente, e danno prova della stima che i colleghi da ogni provenienza politica avevano nei suoi confronti.
A Modena, nel tempo, sono stati a lui intitolati un viale e una Polisportiva oltre a una Rassegna di danza e a un ospedale pediatrico in Madagascar (gestito da una Onlus modenese).